Quando non guido guardo sempre fuori dal finestrino, quasi sempre senza mettere a fuoco quello che mi scorre di lato, e con la sensAzione che la vita mi sfugga velocemente di mano. Il rudere di una masseria abbandonata diventa una macchia grigio di Payne che si fonde col verde circostante, e poi con il giallo spento di balle di fieno e il marrone di un campo appena arato. Qualche volta leggo, ma la coda dell’occhio è sempre impastata dai colori della terra e dei paesaggi fluidi. Altre volte l’orizzonte si fonde con il vento, con la pioggia o con qualche tramonto inatteso. Il rapporto tra paesaggio e memoria è un modo per riscoprire quello che ho dentro ma lo sguardo non è sempre in grado di capire. Quando mi soffermo a pensare mi accorgo che il paesaggio non esiste, sono io che devo inventarlo ogni volta, cercando di interpretare la realtà attraverso quello che sono le mie emozioni e il mio destino. Il paesaggio è solo una mia visione mentale, è legato all’esperienza sensibile che deriva dalle cose che mi circondano, dalle sensazioni dei ricordi, dalle consonanze, dalle affinità, dalle durate, dalla dimensione evanescente che ognuno di noi ha nel suo profondo e che chiamiamo anima. Il paesaggio non è mai bello o brutto, non ha confini, è un luogo nel quale mi perdo sempre, fino a quando non riesco a vedere quella metamorfosi dovuta all’esperienza passata, ai simboli, ai segni che hanno marchiato il corso della mia età. Quando il mondo scorre ai miei lati non sento nulla, tutti i rumori si attenuano, tutto si concentra sulla vista, che come uno scanner acquisisce ogni cosa e allo stesso tempo mi nutre, mi manda a ritroso nel tempo e nello spazio, mi aiuta a ricomporre i frammenti di vita che mi ero perso, oppure a ricostruire strade seguendo tracce, per ritornare ai luoghi che avevo dimenticato col tempo. Il paesaggio è un’invenzione, è cultura prima che natura, è la mia immaginazione che proietta su uno schermo fantastico, boschi, case, campi di grano, monti, rocce, animali, uomini che non sono reali ma sono il frutto solo di sensazioni, di déjà-vu, come un enorme pennello che mischia un po’ a casaccio, un po’ con rigore, tutti i colori di una tavolozza per ricostruire il mio mondo fantastico. La percezione è un processo mentale sempre attivo nel quale le sensazioni vengono integrate con idee, ricordi, emozioni che fanno parte della nostra storia personale; la Gestalt è precisa in queste cose, infatti, tutto quello che abbiamo dentro diventa un filtro che utilizziamo per decifrare e raccontare quello che avviene fuori. La fotografia mi aiuta in questo processo di interpretazione del mondo. Ogni scatto rappresenta una scelta, un atto in apparenza semplice, in realtà una decisione difficile e precisa. Comunicare il paesaggio attraverso le sensazioni significa immergermi in esso, una simbiosi continua che mi riporta indietro nel tempo, a quando ero un bambino di strada; ma solo adesso, attraverso questi fotogrammi scivolosi e densamente colorati diventano la materializzazione di misteriose e amene vedute che avevo dentro, latenti, incapaci ad essere comunicate in altro modo. Descrizioni senza confini di ombre, luci strazianti, colori impastati, a volte improbabili, atmosfere cupe, altre, solo creazioni mentali piene di colori, come acquerelli, e una ricerca costante di significati che si sono persi nel tempo. Ogni volta che viaggio non è mai un andare da un luogo all’altro, è un viaggio di testa e di pancia, un bisogno di scoprire sempre qualcosa di nuovo, una sfumatura, curve paraboliche e rettilinei che perforano l’orizzonte, percorsi assurdi che faccio dentro di me e nella profondità dei ricordi, carezze. Rinchiuso in una bolla d’aria a volte soffoco, a volte respiro ossigeno puro, dipende dalla predisposizione mentale, da come sono in quel momento, dall’approccio al labirinto dei miei pensieri, ad un verde che persiste troppo tempo sulla retina, oppure un rosso che vorrei abbracciare stretto ma continua ad essere sempre distante da me. Cerco nel viaggio quello che non esiste, qualcosa che è nascosto nei sogni che costruisco nella mia testa bacata e che continuo a cercare dietro un New Jersey infinito o un binario che mi affiancano costantemente come un’ombra, che mi oscurano sempre la vista rovinandomi tutto e facendomi dannare. Il viaggio, due punti vicini o lontani e nel mezzo la ricerca della libertà, un universo di pensieri, di colori, di vento, di musica, di foto pigre. Il viaggio, intrapreso per giungere a me, per espiare colpe, per conoscere, per amare, per imparare a vedere e a pregare, per meravigliare, per ricordare, per sognare di quando ero bambino, poi il silenzio.