Con Muybridge, Marey, Mach, Röentgen, la fotografia si avvia verso un uso scientifico, attraverso modifiche agli apparecchi e all’applicazione di nuove tecniche. Ci si allontana dalla natura che fino ad allora era il soggetto preminente e si provano effetti e tecniche, a volte anche molto suggestive come i “multiritratti a specchio”, un giochetto per illudersi di una visione della realtà tutta rifatta.\r\nIl primo in Italia che sperimenta questa tecnica è Umberto Boccioni, il soggetto che si ripete in mille sfaccettature rende anche l’io frammentato e supera così la logica del realismo. È una prima idea del futurismo che comunque, stranamente, nasce con il rigetto nei confronti della tecnologia che considera alquanto fredda.\r\nBoccioni pensa alla fotografia in maniera negativa e sicuramente non come arte, invece, i futuristi cercano di utilizzare il nuovo mezzo nel campo parascientifico, dalla cronofotografia alla fotografia spiritica, quasi un uscire fuori dalla tradizione e andare dritti verso il futuro. L’uso del mezzo fotografico, per loro, serve a spiegare soprattutto i fenomeni invisibili dell’occulto, non gli interessa una fotografia come linguaggio d’arte, anche perché non sanno, non essendo fotografi, come usare la fotografia per immortalare un’azione, un gesto, la loro vitalità, che è alla base del loro manifesto.\r\nAnton Giulio Bragaglia, abbastanza bistrattato da Boccioni e dai futuristi in genere, cerca di utilizzare il mezzo fotografico andando oltre. Molto oltre. La sua ricerca sul movimento aggiunge tanto alle ricerche futuriste, per esempio la smaterializzazione dei corpi in movimento, la visibilità delle traiettorie.\r\nTutta la sperimentazione di Bragaglia avviene pressoché in solitaria, proprio perché vuole uscire dall’unico modo di fotografare di allora... fotografare la natura come se fosse un dipinto.\r\nI suoi esperimenti consistono nel registrare su una lastra, movimenti, gesti... con esposizioni prolungate. I soggetti ritratti risultano così “mossi”, spesso con “moltiplicate” (figure intermedie). Sicuramente studiò Marey, ma anche l’esperimento-scommessa di Muybridge (quello del cavallo al galoppo). La differenza fondamentale è che Muybridge dà senso al movimento impressionando una successione di lastre, il movimento di Bragaglia viene impressionato su un unico fotogramma.\r\nNel 1911 pubblica il saggio “Foto-dinamismo futurista” con 16 sue immagini, tra le quali “L’uomo che suona il contrabbasso”, “Dinamismo di un cane a guinzaglio” e con la premessa che lui e il fratello Arturo “non” erano fotografi. Insomma, avanguardia pura, uno schiaffo alla tradizione. Non andarono mai d’accordo con i futuristi, in particolar modo con Boccioni, Marinetti invece spesso finanziava i loro esperimenti. La motivazione che li allontanava dal movimento era che: “questa rappresentazione statica non penetrasse l’interiorità delle cose e quindi non potesse ricreare la sostanza che riempie la distanza tra un oggetto e l’altro”.
I futuristi fondamentalmente non riescono a capire che la foto-dinamica disprezza il modo meccanico di ricostruire la realtà, e invece esalta il modo di ritrarre la realtà nella fluidità del movimento.\r\nNon solo, ma l’essenza portata in superficie da una foto-dinamica, ha un coinvolgimento emotivo per il fruitore molto più forte che in altre arti.\r\nLe sperimentazioni sul fotodinamismo non sono finite con i Bragaglia, tantissimi grandi autori hanno fatto propria questa tecnica, spesso utilizzata per drammatizzare o rendere un’azione per quella che è nella realtà, un esempio per tutti sono molti scatti di Paolo Pellegrin, che utilizza il mosso in scenari spesso molto difficili, a significare la difficoltà sia dei soggetti ritratti, sia delle condizioni critiche di chi scatta.\r\nPer quello che mi riguarda sono sempre stato attratto da un’altra realtà, quella vissuta attraverso l’intuizione del momento. \r\nPiù che davanti alle cose, ai luoghi o alle persone, ho sempre desiderato mettermi al loro centro. Naturalmente, utilizzando un mezzo che credo di conoscere abbastanza bene, come mezzo di riproduzione meccanica della realtà, ho l’esigenza di registrare insieme a ciò che vedo anche le emozioni che i soggetti generano.\r\nPer questo sento di dover andare oltre i tempi di scatto canonici, così molte mie foto sono prese con tempi lenti, con tempi che vanno da una inspirazione a un’espirazione... in apnea.\r\nNon guardo il mare che si agita nelle onde ma sono parte di esso. Cogliere l’energia sprigionata dalla materia, seguirne la traiettoria, per imprimere la sensazione dinamica. E come sosteneva Anton Giulio Bragaglia nella teoria del “Foto-dinamismo futurista”: “la prova mossa non è uguale a prova movimentata perché nella prima esiste un breve spostamento o una completa distruzione dei corpi e nella seconda solo una de-materializzazione di questi, con traccia di movimento: traccia tanto più viva, quanto più recente. Là, dunque, ove la fotografia appare tanto mossa, e tanto poco movimentata da non esservi più nulla nella lastra, è che la fotodinamica incomincia, avendo quale scopo il ricordo della sensazione dinamica di un movimento e la sua sagoma scientificamente fedele, anche nella de-materializzazione”\r\nIl mosso è come percepire un presente infinito, e tuttavia dinamico, facendomi assorbire dal soggetto osservato. Cioè cogliere in un singolo istante del presente, la vita che pulsa nel suo vero senso; e questo momento che pulsa si muove incessantemente, sempre.\r\nA dire il vero, impressionare il sensore, guidare la luce a disegnare un gesto, è anche una goduria per il corpo, costretto a movimenti spesso inusuali, svelti, repentini, giocare con la macchina, con gli obiettivi... uno spettacolo divertente per chi guarda... ma che scatti ragazzi!
18-02-2015