Può capitare di tanto in tanto che un centinaio di fiammiferi prendano fuoco mentre con grande esperienza cerchi di inscatolarli con un colpo solo. Se lo zolfo si attacca alle mani mentre ancora frigge, l’ustione e il dolore ti tolgono la vista; ma devi andare avanti, devi produrre, e forse ti becchi anche una sanzione dalla direzione della fabbrica, mentre le colleghe cretine, quelle che vogliono fare sempre le belline col finanziere di turno o con il principale, ridono sottecchi con gusto. Sempre 100 fiammiferi contati con gli occhi e con le mani in un’istante. Ti vedo sugli scogli, con la tua amica del cuore a imitare le dive, bellissime nella vostra semplicità, e poi ancora, da Moretti a farvi immortalare in ritratti che ancora oggi testimoniano uno splendore mai perduto. Hai attraversato indenne i lunghi mesi della guerra che ti ha strappato con crudezza tuo padre, delegando alla tua grande madre il compito di allevare con dignità e grande sacrificio sei figli. Tu somigli molto a lei, ancora oggi, dall’alto dei tuoi 86 anni, ti fai guidare con mano nei momenti di sconforto, di preoccupazione… rievocando con un detto o una benevola bestemmia i suoi modi di dire e di fare, con grande forza e con un sorriso. E papà, profugo, arrivato da lontano con un destino sgarbato alle spalle, arrivato dalla dittatura becera di un Broz che gli ha tolto tutto, tranne che l’onore e la voglia di ricominciare da zero in anni dannatamente duri. Vi siete incontrati, lui ti ha preso sotto braccio e non ti ha più lasciato, ancora oggi siete assieme, stretti, anche se lui ti guarda dall’alto, non mollandoti neanche per un attimo. Per contro, tu hai dislocato nella tua casa, nei tuoi punti strategici, un suo ritratto e interagisci con lui in continuazione, parlandogli e rispondendo come in discorsi vecchi, con le stesse parole di un tempo, rendendo giovane e attuale un rapporto che di fatto non esiste più ma è ogni giorno più vivo. Questa tua semplice strategia e l’arrivo provvidenziale della prima nipotina ti hanno salvata, tu così forte e fragilissima, hai riorganizzato con uno stupefacente spirito di sopravvivenza la tua vita, hai ricominciato a fare la mamma, aggrappandoti con forza al tuo Dio, motore di tutte le cose. Nella tua semplice e complessa esistenza hai lavorato ai fianchi dei tuoi figli, con costanza, con durezza, con dolcezza. Hai reso il loro rapporto indistruttibile, hai scolpito nei loro cuori un messaggio forte e semplice “voi dovete volervi bene, non dovete mai litigare”, un messaggio che contiene la summa di tutti i messaggi. Ora, alla tua veneranda età sei sola, dormi da sola, la salute, con tutti i suoi acciacchi, ti permette di essere ancora relativamente autonoma, se solo per un attimo mi immedesimassi nel tuo stato mi verrebbero i brividi e la paura, ma in effetti tu non sei mai sola, anche se lontani siamo sempre con te. La tua casa sempre in disordine, ma sempre un giardino delle delizie curato alla perfezione, le tue estati calde, insopportabili, le tue botte di calore dovute ad un utero ancora giovane per la scienza, il bisogno impellente di mettere i tuoi piedi perennemente gonfi, in ammollo, nell’acqua del mare in cui sei cresciuta, giù alla spiaggetta, che con il tempo ha sostituito per forza di cose gli scogli. E poi la tua scatola di latta, piena di fotografie, di ricordi, di racconti, di rievocazioni. Le fotografie di cui non puoi fare a meno, che continui a guardare e riguardare, ripassando più volte la tua vita come una lezione di storia, e quando di nascosto mi capita di guardarti, mi accorgo che alcuni visi li accarezzi con l’indice, qualche volta ti compiaci, altre volte inveisci. Le foto e gli album di famiglia sono documenti impossibili da sostituire, sono un preziosissimo diario visuale di un’infinità di vite. Quando sono a casa da mamma e sul tardi rimango da solo, spesso spengo le luci, la tv, e al buio come per miracolo noto tutte le sue lucine, piccole luci che l’accompagnano nei suoi percorsi domestici, se guardo bene, vedo i suoi sentieri, le sue strade, sento i cassetti che si aprono e poi si richiudono, il suo ordine/disordine, i suoi visi, le bambine, i santi, le madonne, vedo le impronte delle sue mani stanche dappertutto, la profondità delle sue orme, il suo improbabile, matto, bellissimo presepe, vedo la sua casa piena di cose, di simboli, di pezzetti di cioccolata, di odori, vedo le sue parole che volano dappertutto, che mi inseguono, vedo una casa viva… poi vedo lei, altera, dietro le finestra, che aspetta con fede che arrivi qualcuno…